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sabato 19 aprile 2014

Piccola Odissea in Sud Sudan (parte prima)

Bimbe a Raja
L’ala dell’aereo in rottami della pista di Raja ci passa sopra la testa, l’aereo, arrugginito e dimenticato, relitto di quando l’aeroporto funzionava ed il paese era ancora uno solo. In macchina: Io, Daniela, l’agronomo Ibrahim e l‘autista Faisal alla guida, dopo una mattinata caotica ci siamo imbarcati nel viaggio di ritorno da Raja a Wau, 320 kilometri di terra rossa e polvere, circa 6 ore di dossi, cunette e sobbalzi. Il viaggio procede al meglio, leggo un po’ di Kapuscinsky, racconti della guerra d’Angola su strade come le nostre, ma nel bel mezzo di una guerra civile con mitra e posti di blocco presidiati da soldati giovani, affamati e ubriachi. Un po’ lo invidio per la temerarietà e per aver raccontanto fatti eclatanti di una storia violenta ma lontana ed affascinante. Ammiro il coraggio e la pazzia nel voler raccontare guerre d’altri al rischio della propria vita. Noi, con il nostro fuoristrada bianco, superiamo agevolmente un vecchio e traballante camion carico di sacchi di mais oltre ogni immaginazione, camion ulteriormente appensantito da 7-8 persone sedute in cima ai sacchi, salutiamo con un rapido gesto della mano e procediamo per la nostra strada.
Avvistiamo un ponte e capiamo che per Ibrahim e Faisal arriva il momento della pausa pranzo, asida (praticamente polenta senza sale) e pesce di fiume, fresco. Io e Daniela abbiamo già mangiato i nostri panini coi felafel in macchina. Fa molto caldo, si suda, e ora che siamo fermi ancora di più. Davanti a noi un rettilineo di saliscendi di terra rossa lungo qualche chilometro, fuori tanto sole e un’eterna distesa d’alberi verde chiaro a fare da cornice al nostro viaggio, dietro di noi solo tanta polvere, è il culmine della stagione secca, quando la terra è assetata e gli alberi attendono impazientemente le prime piogge.
All’improvviso, un rumore strano, Faisal si ferma a controllare, abbiamo forato, rapidamente ci mettiamo in azione: Ibrahim ai bulloni, Faisal al crick  ed io alla ruota di scorta cambiamo la ruota e ripartiamo tranquillamente verso Wau. Ma la sfortuna è di nuovo in agguato, e dopo pochi chilometri di saliscendi impolverati siamo di nuovo fermi e perplessi a fissare un pneumatico sgonfio, quello anteriore destro, di nuovo. Il team si riattiva, ma questa volta dobbiamo prendere la seconda ruota di scorta sul tettuccio del Land Cruiser, perplessi ed un po’inquietati cambiamo di nuovo la ruota sapendo che è l’ultima che abbiamo e che se forassimo ancora saremmo bloccati, senza possibilita di telefonare e lontanissimi dal primo centro abitato. Io e Daniela ci guardiamo, preoccupati ed io inizo a pensare, ho la sensazione che ci sia qualcosa che non va con l’auto e mi sembra che ad ogni sussulto l’auto cadrà in mille pezzi, lasciandoci appiedati in mezzo alle assolate colline che uniscono il Sud Sudan, il Sudan e la Repubblica Centroafricana, luoghi selvaggi ed inesplorati, in passato teatro d’azione del Lord Resistance Army di Joseph Kony, esercito ribelle dai tratti mistico-religiosi, spauracchio di vari governi dell’Africa centrale. E cosi succede l’irreparabile, terza foratura, questa volta su un tratto in discesa dove Faisal fa fatica a controllare l’auto e rischiamo di sbandare, peggiorando ulteriormente la situazione. Silenzio. Il silenzio di chi non sa cosa fare, dire o pensare. Scendiamo tutti e 4 dal’auto esterrefatti, increduli e confusi. Prendo il telefono satellitare ma essendosi acceso nello zaino ha la batteria quasi completamente scarica. La tensione sale e, fra le mosche, le api selvatiche e le mosche tze tze che infestano questa zona riflettere è davvero difficile, non c’è soluzione. Silenzio e domande senza risposta. La disperazione di porta a provare e collegare un caricabatteria per Nokia alimentato con l’accendisigari dell’auto con il caricabatteria con la presa a muro del telefono satellitare, speranza vana e piuttosto frustrante durata pochi minuti.
Dalla striscia rossa che scompare dietro la collina spunta improvvisamente il vecchio, dondolante e sovraccarico camion che trasporta mais e persone che abbiamo superato qualche chilometro prima. In 30 secondi decido di dividere il team, io e Daniela prendiamo un passaggio per andare a chiedere aiuto, Ibrahim e Faisal si fermano con l’auto. Spiace andare via, sopratttutto pensando che transcorreranno li la notte in mezzo ad api e animali selvatici ma anche a rischio di rapina da parte dell’animale piu’ pericoloso, quello a due gambe. Io e Daniela ci arrampichiamo sull’altissimo camion e ci sediamo sui sacchi di mais aggrappandoci dove possibile.

I nostri compagni di viaggio sono molto diversi fra loro. Il primo alla mia sinistra è un soldato, disarmato, in tuta mimetica verde e lucidi anfibi neri, guarda frequentemente me e Daniela e ride, da solo. Dietro di lui, una signora anziana, piccola, magra, rinsecchita, avvolta nei tipici drappi colorati per ripararsi dal vento e dalla polvere. Parla ad intervalli, a volte fitto fitto a volte ripetendo la stessa parola a voce alta, non capisco ma lei sembra divertita. Gli altri passeggeri sono giovani con maglie dell’Arsenal e del Manchester United, a pensarci bene, questo camion è assai rappresentativo del Sud Sudan: guerra, calcio e memoria tradizionale.

(continua)

In attesa della seconda parte, un sorriso con Liniers:
Enriqueta "Una vita piccolina e normale e' gia' qualcosa di straordinariamente incredibile"

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