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domenica 27 aprile 2014
Notas de viaje...: Piccola Odissea in Sud Sudan (parte seconda)
Notas de viaje...: Piccola Odissea in Sud Sudan (parte seconda): Il Land Cruiser a Raja, pronto per la partenza...non arriveremo a destinazione Il vento soffia nei capelli in cima al camion barcolla...
Piccola Odissea in Sud Sudan (parte seconda)
Il Land Cruiser a Raja, pronto per la partenza...non arriveremo a destinazione |
Il vento soffia nei capelli in cima al camion barcollante, proviamo a
vedere il lato positivo della situazione. Ridiamo, pensando a quante regole
stiamo infrangendo e consolandoci pensando che è un’esperienza unica e probabilmente
irripetibile. Il sole tramonta, sono le 7.30 di queste brevi sere africane: le
palme, le acacie e i manghi all’orizzonte diventano sagome nere, in lontananza
si ergono colonne di fumi, i contadini preparano così i campi per l’aratura,
bimbi e bimbe magri e scalzi, con vestiti usurati e strappati portano grossi
contenitori d’acqua sulla testa, oppure fratellini infagottati sulla schiena.
L’aria si fa fresca ed è quasi subito notte, cala il buio su questa calda,
sudata, impolverata ed imprevedibile giornata africana. Scoccano le 8, scatta
il coprifuoco per movimenti dentro e fuori dalle città, il Sud Sudan è pur
sempre un paese in guerra e questo è uno dei modi per controllare movimenti di
ribelli, truppe ed esercito. Nel buio intravediamo il posto di blocco, fari
spenti per comunicare la non aggressività del nostro convoglio. “Tutti giù” ci dicono, “non si puo procedere oltre, questa notte
dormirete qua, si riparte domani mattina”. Nel buio, senza rete telefonica,
non una luce, non una casa, solo sagome di baracche e minacciosi soldati
del’SPLA che ci fissano severi. Alcuni parlano fra loro in arabo, non capiamo,
ma sembrano rigidi, un soldato, visibilmente più ubriaco degli altri, sentendo
Daniela lamentarsi e piagnucolare le aggredisce verbalmente. Controllo degli
zaini, torce puntate in faccia e l’ansia di dover trascorrere la notte all’addiaccio,
senz’ acqua, letto e cibo in compagnia di una decina di soldati dell’SPLA
armati di sbornia e kalashnikov, un’accoppiata poco rassicurante. Siamo disperati ma ci salva un soldato
particolarmente comprensivo, impietositosi dalla nostra situazione (e dalla bugia
che gli raccontiamo dicendogli che Daniela sta molto male). Nel più completo
buio attraversiamo lo spazio fra le due sbarre del posto di blocco, il respiro
affannoso di Daniela si mescola con i miei pensieri che si affollanno nel vano
tentativo di trovare una soluzione. Mantengo la calma, proviamo a trovare una
macchina per l’ “ammalata” Daniela, ci dicono di aspettare, non si sa ne chi ne
cosa, ma aspettiamo. Il soldato, di cui vediamo solo i denti, gli occhi e la canottiera
in quanto tutti bianchi e in risalto sulla pelle nera, ci offre due semi-fresche
bottiglie d’acqua, un gesto semplice ma spontaneo, generoso e tenero,
soprattutto in quella situazione. Senza
capire una parola delle discussioni fra soldati e autista torniamo indietro nel
piu completo buio, la ghiaia sotto i piedi, il corpo diventa pesante ma le
energie non mancano grazie a tutta l’adrenalina che abbiamo in circolo. Arriva
il segnale di mobilitarsi, grazie a Daniela, tutto il camion può ripartire,
mamme, bambini, vecchi e soldati risalgono a bordo e lentamente avanziamo nel
buio, rotto solo dai fari deboli del vecchio camion azzurrino e dondolante.
All’improvviso la rete telefonica ritorna e ci permette di chimare aiuto da
Wau, dove Chaplain il logista e altri nostri colleghi sono in pensiero per noi.
Sono ormai le 10 e anche il coprifuoco all’interno della città è scattato, in
teoria nessuna automobile può muoversi e nessun individuo può essere in strada
a quell’ora, tranne i soldati e i poliziotti incaricati di far rispettare il
coprifuoco. Dopo varie telefonate e una certa confusione dovuta alla situazione
inaspettata sappiamo che la missione di salvataggio ci sta venendo in contro,
ma dovra superare vari posti di blocco, e noi anche. Siamo di nuovo fermi,
tutti giu, di nuovo quella frase scioccante: dormirete qui stanotte, soldati
diversi, stessa scena, sguardi severi, dialoghi in arabo, soldati ubriachi e
armati che ci perquisiscono, svuotare gli zaini un’altra volta, aliti di alcol
e parole dure che ci fanno pensare al peggio. Intanto l’attesa dilata il tempo
ma alla fine, la bianca auto guidata dal nostro “salvatore” Chaplain compare
come un fantasma provvidenziale nella notte di carbone. Dopo una breve
discussione, ripartiamo, ma dopo soli 300 metri un posto di blocco volante di
ferma e ci chiede spiagazioni, non ci credono, non vogliono lasciarci passare,
di nuovo quella frase: “Dormite qui e
domani mattina ripartite”, questa volta la situazione e’ meno drammatica,
le luci di Wau sono in vista e siamo su un’auto “amica” protetti dallo “zio”
Chaplain, un buon uomo alto e lungo, dallo sguardo lucido e dolce che a voltre
si perde nei ritmi forsennati delle nostre pazze giornate in ufficio.
Villaggio di Riang Akol, Stato di Warrap, comitato a gricolo all'opera |
Alla fine, dopo 15 minuti di contrattazioni e comunicazioni via radio col suo
superiore, anche questo posto di blocco ci lascia proseguire, ci sentiamo al
sicuro, ma la strada di casa è ancora lunga. Wau, dopo le 10 di sera è spezzata
in 2 all’altezza del ponte che separa la città ”vecchia” dalla nuova zona di
recente crezione dove la citta si è espansa negli ultimi anni. L’ultimo posto
di blocco, torce in faccia anche qua, perquisizione e domande su dove andiamo e
che facciamo, rispondiamo con la solita bugia: Daniela sta male e dobbiamo
portarla a casa, veniamo da Raja, lavoriamo li a progetti di sviluppo, per
favore lasciateci passare. Un altro quarto d’ora di sofferenza, sopportazione e
trattative ma alla fine ci lasciano andare. Pensiamo sia fatta, non ci sono più
posti di blocco fra il ponte e casa ma all’improvviso in mezzo alla strada, si
materializzano 3 fantasmi col kalashnikov a tracolla, 3 soldati che quasi
investiamo visto che ci aspettavano in piedi in mezzo alla strada. Dopo altri 5
minuti di spiegazioni, visto che siamo oltre il coprifuoco ci chiedono una
piccola “tassa” per poter passare, una tassa davvero esorbitante: 10 pound sud
sudanesi, circa 2 euro e 50, il costo di 4 pomodori, per capirci. Vediamo casa
ormai, è a circa 300 metri, ora davvero niente di può più fermare, ci assale
l’euforia e l’allegria per avercela fatta. Mi sento un po’ un sopravvissuto e
penso dentro di me che ormai non ho niente da invidiare a Kapuscinsky, ho
affrontato con successo vari posti di blocco, perquisizioni e intimidazioni
verbali. Ho sentito il brivido della minaccia e della paura, per me e per
Daniela, che in fondo, a Raja, poteva fare a meno di venirci e mi aveva accompagnato
in questo inaspettatamente travagliato viaggio di lavoro.
Il cancello azzurrino di casa ACTED si apre ed entriamo in casa. Chaplain
dovrà dormire da noi perche a quell’ora non puo più muoversi, per fortuna
abbiamo stanze libere, gli do saponetta e asciugamano e gli auguro la
buonanotte. Ora sognamo solo una bella doccia rinfrescante e il letto, ma
l’ultima sorpresa della giornata è che in casa non c’è acqua, ma siamo talmente
sporchi che non ce la sentiamo di andare a dormire con il sudore, la polvere e
lo sporco di un giorno di viaggio. Addocchiamo le bottiglie d’acqua minerale
nell’angolo, svuotiamo varie dozzine di bottigliette nel secchio di plastica
blu e cosi ci facciamo la più costosa doccia della storia. Una bottiglia
d’acqua da 600 centilitri qui costa quasi un euro, come minimo avremo usato 20
bottiglie, 20 euro per una doccia. Dopo uno spuntino rapidamente messo insime
con quello che c’era in frigo ce ne andiamo a letto, stanchi, frustrati ma
anche eccitati dall’avventura appena finita nei migliori dei modi. Inoltre, io,
personalmente, da oggi mi sento anche un po’ più vicino a Kapuscinsky.
Enriqueta oggi ci spiega cosa fara' da grande:
Enriqueta: "Da grande saro' una femminista"..."pero' spero che gia non sara' piu' necessario" |
sabato 19 aprile 2014
Piccola Odissea in Sud Sudan (parte prima)
Bimbe a Raja |
L’ala dell’aereo in rottami della pista di Raja ci passa sopra la testa, l’aereo,
arrugginito e dimenticato, relitto di quando l’aeroporto funzionava ed il paese
era ancora uno solo. In macchina: Io, Daniela, l’agronomo Ibrahim e l‘autista
Faisal alla guida, dopo una mattinata caotica ci siamo imbarcati nel viaggio di
ritorno da Raja a Wau, 320 kilometri di terra rossa e polvere, circa 6 ore di
dossi, cunette e sobbalzi. Il viaggio procede al meglio, leggo un po’ di Kapuscinsky,
racconti della guerra d’Angola su strade come le nostre, ma nel bel mezzo di
una guerra civile con mitra e posti di blocco presidiati da soldati giovani,
affamati e ubriachi. Un po’ lo invidio per la temerarietà e per aver
raccontanto fatti eclatanti di una storia violenta ma lontana ed affascinante. Ammiro
il coraggio e la pazzia nel voler raccontare guerre d’altri al rischio della
propria vita. Noi, con il nostro fuoristrada bianco, superiamo agevolmente un
vecchio e traballante camion carico di sacchi di mais oltre ogni immaginazione,
camion ulteriormente appensantito da 7-8 persone sedute in cima ai sacchi,
salutiamo con un rapido gesto della mano e procediamo per la nostra strada.
Avvistiamo un ponte e capiamo che per Ibrahim e Faisal arriva il momento
della pausa pranzo, asida (praticamente
polenta senza sale) e pesce di fiume, fresco. Io e Daniela abbiamo già mangiato
i nostri panini coi felafel in
macchina. Fa molto caldo, si suda, e ora che siamo fermi ancora di più. Davanti
a noi un rettilineo di saliscendi di terra rossa lungo qualche chilometro, fuori
tanto sole e un’eterna distesa d’alberi verde chiaro a fare da cornice al
nostro viaggio, dietro di noi solo tanta polvere, è il culmine della stagione
secca, quando la terra è assetata e gli alberi attendono impazientemente le
prime piogge.
All’improvviso, un rumore strano, Faisal si ferma a controllare, abbiamo
forato, rapidamente ci mettiamo in azione: Ibrahim ai bulloni, Faisal al crick ed io alla ruota di scorta cambiamo la ruota e
ripartiamo tranquillamente verso Wau. Ma la sfortuna è di nuovo in agguato, e
dopo pochi chilometri di saliscendi impolverati siamo di nuovo fermi e
perplessi a fissare un pneumatico sgonfio, quello anteriore destro, di nuovo.
Il team si riattiva, ma questa volta dobbiamo prendere la seconda ruota di
scorta sul tettuccio del Land Cruiser, perplessi ed un po’inquietati cambiamo
di nuovo la ruota sapendo che è l’ultima che abbiamo e che se forassimo ancora
saremmo bloccati, senza possibilita di telefonare e lontanissimi dal primo
centro abitato. Io e Daniela ci guardiamo, preoccupati ed io inizo a pensare,
ho la sensazione che ci sia qualcosa che non va con l’auto e mi sembra che ad
ogni sussulto l’auto cadrà in mille pezzi, lasciandoci appiedati in mezzo alle
assolate colline che uniscono il Sud Sudan, il Sudan e la Repubblica
Centroafricana, luoghi selvaggi ed inesplorati, in passato teatro d’azione del
Lord Resistance Army di Joseph Kony, esercito ribelle dai tratti
mistico-religiosi, spauracchio di vari governi dell’Africa centrale. E cosi
succede l’irreparabile, terza foratura, questa volta su un tratto in discesa
dove Faisal fa fatica a controllare l’auto e rischiamo di sbandare, peggiorando
ulteriormente la situazione. Silenzio. Il silenzio di chi non sa cosa fare, dire
o pensare. Scendiamo tutti e 4 dal’auto esterrefatti, increduli e confusi.
Prendo il telefono satellitare ma essendosi acceso nello zaino ha la batteria
quasi completamente scarica. La tensione sale e, fra le mosche, le api
selvatiche e le mosche tze tze che infestano questa zona riflettere è davvero
difficile, non c’è soluzione. Silenzio e domande senza risposta. La
disperazione di porta a provare e collegare un caricabatteria per Nokia alimentato
con l’accendisigari dell’auto con il caricabatteria con la presa a muro del telefono
satellitare, speranza vana e piuttosto frustrante durata pochi minuti.
Dalla striscia rossa che scompare dietro la collina spunta improvvisamente
il vecchio, dondolante e sovraccarico camion che trasporta mais e persone che
abbiamo superato qualche chilometro prima. In 30 secondi decido di dividere il
team, io e Daniela prendiamo un passaggio per andare a chiedere aiuto, Ibrahim
e Faisal si fermano con l’auto. Spiace andare via, sopratttutto pensando che
transcorreranno li la notte in mezzo ad api e animali selvatici ma anche a
rischio di rapina da parte dell’animale piu’ pericoloso, quello a due gambe. Io
e Daniela ci arrampichiamo sull’altissimo camion e ci sediamo sui sacchi di
mais aggrappandoci dove possibile.
I nostri compagni di viaggio sono molto diversi fra loro. Il primo alla mia
sinistra è un soldato, disarmato, in tuta mimetica verde e lucidi anfibi neri,
guarda frequentemente me e Daniela e ride, da solo. Dietro di lui, una signora
anziana, piccola, magra, rinsecchita, avvolta nei tipici drappi colorati per
ripararsi dal vento e dalla polvere. Parla ad intervalli, a volte fitto fitto a
volte ripetendo la stessa parola a voce alta, non capisco ma lei sembra
divertita. Gli altri passeggeri sono giovani con maglie dell’Arsenal e del Manchester United, a pensarci bene, questo camion è assai
rappresentativo del Sud Sudan: guerra, calcio e memoria tradizionale.
(continua)
(continua)
In attesa della seconda parte, un sorriso con Liniers:
Enriqueta "Una vita piccolina e normale e' gia' qualcosa di straordinariamente incredibile" |
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