Blog nuovo, post vecchio, per riallacciare il filo con il vecchio blog pubblico di nuovo questo brano, c'e' l'Oceano che mi suscita sempre riflessioni...interessanti o meno...lo saprete dopo aver letto...
L’Oceano è a
macchie questa mattina, calmo, piatto, a tratti così piatto che l’acqua sembra
olio che galleggia sulla superficie, il resto leggermente increspato dalla
brezza debole di questa mattina di maggio. Il cielo è grigio, carico di
pioggia, nuvole gonfie e minacciose si riflettono sul mare, passa una barca con
la vela bianca, un dhow, i pescatori ritornano carichi di pesci e calamari,
gridano, scherzano, non capisco ma intuisco.
A riva, le donne,
secchio, ciabatte di plastica Bata uguali quasi per tutte, cambia solo il
colore: blu, rosse o verdi, due khanga: uno indossato come gonna e l’altro
usato come cuscino da mettersi in testa il secchio. Le donne aspettano nel
tratto di spiaggia fra il mare e il mercato del pesce, sta per iniziare l’asta
mattutina, pescatori per terra che contano, raggruppano, legano, puliscono e
preparano il pesce, frutto delle loro fatiche notturne. Il puzzo di pesce, di
alghe, di interiora dei giorni precedenti mi penetra prepotentemente nel naso,
che sveglia! Altro che il caffè preparato dalla mamma.
Corro, ho il fiato
lungo, i piedi affondano sulla spiaggia di sale, mi abbasso, salto in mezzo
alle corde che ancorano le barche alla riva, verdi, le corde, odorano di mare,
il mio percorso ad ostacoli quotidiano. Ben altri ostacoli affrontano queste
persone legate a doppio filo al mare. La popolazione aumenta, mangia di più.
Non c’è lavoro, senza istruzione che fai? La cosa più semplice e prendere la
via del mare, fatica, vita dura ma almeno ci si vive. Certo, ci si vive, per
ora, pesca oggi e pesca domani, i pesci calano, bisogna pescare più a lungo,
più tempo in mare, più fatica, andare più lontani su barche fatiscenti, aumenta
il rischio. Qui dicono che il mare non si asciuga mai per dire che per i
pescatori ci sarà sempre un bottino quotidiano, ma questo non è esattamente
vero. Aumenta la rischiesta di pesce ed aumenta il prezzo ma chi ci guadagna?
Spesso i padroni delle barche e delle reti. Per non parlare poi dei periodi di
bassa stagione, il brutto tempo e le condizioni di vita. Volti e corpi segnati
quelli dei pescatori, muscoli tirati, fibre forti a fior di pelle, vestiti
intrisi di mare, cappelli scoloriti, sigaretta in bocca e sorriso in faccia,
sguardo vivo ma fermo, rughe profonde e vita vissuta, davvero.
Le donne, giovani e
vecchie, magre e grasse, chiacchierone o silenziose, placide, sedute,
chiaccheranno, ma c’è incertezza, leggera tensione, ce la faranno ad
aggiudicarsi il pesce ad un prezzo decente? E se non ce la fanno, oggi che si vende,
che si mangia, cosa mangeranno i bambini? Oggi Salim ha la malaria, come farò a
pagare la medicina e la visita dal dottore? Credo ci siano anche questi
pensieri nella mente delle centinaia di donne e uomini che popolano la spiaggia
di prima mattina, quotidiani compagni involontari della mia corsa. Questa
mattina mi chiedevo cosa e come sognino i tanzaniani. Non lo so, non credo di
aver mai chiesto esplicitamente cosa sognino ad oggi chiusi, sicuramente sognano
diversamente da noi, se noi sogniamo un abete loro forse una palma, se noi
sognamo di cadere da un grattacielo o da una montagna, loro che cosa
sogneranno?
Nei nostri sogni ad
occhi chiusi forse siamo più diversi che nei nostri sogni ad oggi aperti, a
sogni aperti credo i nostri sogni e quelli dei tanzaniani si assomiglino molto:
una casa, un lavoro, salari decenti, sicurezza per se stessi e per la famiglia,
istruzione di qualità per i figli, salute e assistenza di qualità in caso di
malattia, amicizie, affetti, buon rapporto con famigliari, parenti, amici e colleghi
di lavoro, insomma, le cose che vogliamo tutti, qua forse il sogno è un po’ più
lontano ma questo non significa necessariamente che la gente sia meno felice,
che manchi il sorriso sul loro volto o la voglia di vivere, anzi.
Sorriso, voglia di
vivere e sogni che non mancano ad Omari, tribù dei Wahehe, Iringa, nel
sud-ovest, una delle regioni più prospere e attive del paese ma anche quella
con il più alto tasso di AIDS, circa il 14% contro la media nazionale del 5,7%,
più del doppio. Si è trasferito qui 4 mesi fa, non conosce quasi nulla di
Bagamoyo, solamente la spiaggia dove va a passeggiare di domenica, il suo
giorno libero, e la chiesa cattolica, dove va a messa.
Omari ha 17 anni e
ha appena finito la scuola primaria, ha studiato solo 7 anni, ora lavora in un
minuscolo bar, una stanza, uno scaffale con ogni tipo di soda e bevande
alcoliche, 2 tavolini e 4 sedie di plastica. Arriva alle 10 di mattina con i
pantaloni arrotolati a tre quarti e le sue ciabatte di plastica Bata, blu, apre
la serranda e ci rimane fino alle 9-10 di sera.
I clienti non sono
molti, Omari passa la maggior parte del tempo ad ascoltare musica, parlare con
amici e passanti oppure con i clienti, come me.
Le auto passano, un
autobus carico di gente suona il clacson, il vento accarezza la pelle,
togliendo parte della fatica accumulata durante la giornata. Omari mi racconta
un po’ della sua vita, voleva andare alle scuole superiori ma la scuola dista
mezzora di autobus dal villaggio, il biglietto costa 50 centesimi di euro al
giorno, andata e ritorno, che sommato al costo del pranzo (un altro mezzo euro)
e al costo della divisa, delle scarpe, dei libri, quaderni e penne ha reso
impossibile per la sua famiglia permettergli di studiare. Me lo dice mentre
guarda, in lontananza lungo la strada, un gruppo di studentesse che ritornano
da scuola nella luce del tramonto arancione di Bagamoyo. Sorride, un sorriso,
vero, aperto, luminoso, gioioso, bellissimo, ma intuisco un fondo di tristezza
per l’occasione sfumata. Si è trasferito sulla costa, qui a Bagamoyo. Un
ragazzo del suo villaggio l’ha preceduto e gli ha detto che a c’erano possibilità di trovare qualcosa da fare. Ora
lavora al bar di proprietà di un dentista locale e di una funzionaria di una
grossa ong, uno dei tanti business che possiedono. Il dentista e la funzionaria
hanno due figlie, una ha quasi l’età di Omari, parla un ottimo inglese e sogna di
andare all’università, magari all’estero, per ora va alla scuola privata, dove
la retta mensile è il doppio dello stipendio di Omari, mondi diversi ma così
vicini.
Anche Omari sogna,
chissà che cosa...
E ora, il maestro Liniers in: "Messaggio a chi non prova a volare, a sognare..."
Traduzione:"Imparare a volare, non e' facile. Imparare a cadere, neanche. Pero' vivere a terra...annoia!"