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giovedì 23 febbraio 2012

L’ Oceano e i sogni


Blog nuovo, post vecchio, per riallacciare il filo con il vecchio blog pubblico di nuovo questo brano, c'e' l'Oceano che mi suscita sempre riflessioni...interessanti o meno...lo saprete dopo aver letto...

L’Oceano è a macchie questa mattina, calmo, piatto, a tratti così piatto che l’acqua sembra olio che galleggia sulla superficie, il resto leggermente increspato dalla brezza debole di questa mattina di maggio. Il cielo è grigio, carico di pioggia, nuvole gonfie e minacciose si riflettono sul mare, passa una barca con la vela bianca, un dhow, i pescatori ritornano carichi di pesci e calamari, gridano, scherzano, non capisco ma intuisco.
A riva, le donne, secchio, ciabatte di plastica Bata uguali quasi per tutte, cambia solo il colore: blu, rosse o verdi, due khanga: uno indossato come gonna e l’altro usato come cuscino da mettersi in testa il secchio. Le donne aspettano nel tratto di spiaggia fra il mare e il mercato del pesce, sta per iniziare l’asta mattutina, pescatori per terra che contano, raggruppano, legano, puliscono e preparano il pesce, frutto delle loro fatiche notturne. Il puzzo di pesce, di alghe, di interiora dei giorni precedenti mi penetra prepotentemente nel naso, che sveglia! Altro che il caffè preparato dalla mamma.
Corro, ho il fiato lungo, i piedi affondano sulla spiaggia di sale, mi abbasso, salto in mezzo alle corde che ancorano le barche alla riva, verdi, le corde, odorano di mare, il mio percorso ad ostacoli quotidiano. Ben altri ostacoli affrontano queste persone legate a doppio filo al mare. La popolazione aumenta, mangia di più. Non c’è lavoro, senza istruzione che fai? La cosa più semplice e prendere la via del mare, fatica, vita dura ma almeno ci si vive. Certo, ci si vive, per ora, pesca oggi e pesca domani, i pesci calano, bisogna pescare più a lungo, più tempo in mare, più fatica, andare più lontani su barche fatiscenti, aumenta il rischio. Qui dicono che il mare non si asciuga mai per dire che per i pescatori ci sarà sempre un bottino quotidiano, ma questo non è esattamente vero. Aumenta la rischiesta di pesce ed aumenta il prezzo ma chi ci guadagna? Spesso i padroni delle barche e delle reti. Per non parlare poi dei periodi di bassa stagione, il brutto tempo e le condizioni di vita. Volti e corpi segnati quelli dei pescatori, muscoli tirati, fibre forti a fior di pelle, vestiti intrisi di mare, cappelli scoloriti, sigaretta in bocca e sorriso in faccia, sguardo vivo ma fermo, rughe profonde e vita vissuta, davvero.
Le donne, giovani e vecchie, magre e grasse, chiacchierone o silenziose, placide, sedute, chiaccheranno, ma c’è incertezza, leggera tensione, ce la faranno ad aggiudicarsi il pesce ad un prezzo decente? E se non ce la fanno, oggi che si vende, che si mangia, cosa mangeranno i bambini? Oggi Salim ha la malaria, come farò a pagare la medicina e la visita dal dottore? Credo ci siano anche questi pensieri nella mente delle centinaia di donne e uomini che popolano la spiaggia di prima mattina, quotidiani compagni involontari della mia corsa. Questa mattina mi chiedevo cosa e come sognino i tanzaniani. Non lo so, non credo di aver mai chiesto esplicitamente cosa sognino ad oggi chiusi, sicuramente sognano diversamente da noi, se noi sogniamo un abete loro forse una palma, se noi sognamo di cadere da un grattacielo o da una montagna, loro che cosa sogneranno?
Nei nostri sogni ad occhi chiusi forse siamo più diversi che nei nostri sogni ad oggi aperti, a sogni aperti credo i nostri sogni e quelli dei tanzaniani si assomiglino molto: una casa, un lavoro, salari decenti, sicurezza per se stessi e per la famiglia, istruzione di qualità per i figli, salute e assistenza di qualità in caso di malattia, amicizie, affetti, buon rapporto con famigliari, parenti, amici e colleghi di lavoro, insomma, le cose che vogliamo tutti, qua forse il sogno è un po’ più lontano ma questo non significa necessariamente che la gente sia meno felice, che manchi il sorriso sul loro volto o la voglia di vivere, anzi.
Sorriso, voglia di vivere e sogni che non mancano ad Omari, tribù dei Wahehe, Iringa, nel sud-ovest, una delle regioni più prospere e attive del paese ma anche quella con il più alto tasso di AIDS, circa il 14% contro la media nazionale del 5,7%, più del doppio. Si è trasferito qui 4 mesi fa, non conosce quasi nulla di Bagamoyo, solamente la spiaggia dove va a passeggiare di domenica, il suo giorno libero, e la chiesa cattolica, dove va a messa.
Omari ha 17 anni e ha appena finito la scuola primaria, ha studiato solo 7 anni, ora lavora in un minuscolo bar, una stanza, uno scaffale con ogni tipo di soda e bevande alcoliche, 2 tavolini e 4 sedie di plastica. Arriva alle 10 di mattina con i pantaloni arrotolati a tre quarti e le sue ciabatte di plastica Bata, blu, apre la serranda e ci rimane fino alle 9-10 di sera.
I clienti non sono molti, Omari passa la maggior parte del tempo ad ascoltare musica, parlare con amici e passanti oppure con i clienti, come me.
Le auto passano, un autobus carico di gente suona il clacson, il vento accarezza la pelle, togliendo parte della fatica accumulata durante la giornata. Omari mi racconta un po’ della sua vita, voleva andare alle scuole superiori ma la scuola dista mezzora di autobus dal villaggio, il biglietto costa 50 centesimi di euro al giorno, andata e ritorno, che sommato al costo del pranzo (un altro mezzo euro) e al costo della divisa, delle scarpe, dei libri, quaderni e penne ha reso impossibile per la sua famiglia permettergli di studiare. Me lo dice mentre guarda, in lontananza lungo la strada, un gruppo di studentesse che ritornano da scuola nella luce del tramonto arancione di Bagamoyo. Sorride, un sorriso, vero, aperto, luminoso, gioioso, bellissimo, ma intuisco un fondo di tristezza per l’occasione sfumata. Si è trasferito sulla costa, qui a Bagamoyo. Un ragazzo del suo villaggio l’ha preceduto e gli ha detto che a c’erano  possibilità di trovare qualcosa da fare. Ora lavora al bar di proprietà di un dentista locale e di una funzionaria di una grossa ong, uno dei tanti business che possiedono. Il dentista e la funzionaria hanno due figlie, una ha quasi l’età di Omari, parla un ottimo inglese e sogna di andare all’università, magari all’estero, per ora va alla scuola privata, dove la retta mensile è il doppio dello stipendio di Omari, mondi diversi ma così vicini.
Anche Omari sogna, chissà che cosa...

E ora, il maestro Liniers in: "Messaggio a chi non prova a volare, a sognare..."
Traduzione:"Imparare a volare, non e' facile. Imparare a cadere, neanche. Pero' vivere a terra...annoia!"

domenica 5 febbraio 2012

Pieno, vuoto, intoppato?


Attenzione: questo post l'avevo scritto il 31 gennaio ed era destinato al mio vecchio blog: www.stefanobattain.splinder.com.
Splider ha chiuso senza che io riuscissi a fare un vero e proprio trasloco, scrivero' un post per aprile il nuovo blog, ma intanto, pubblico questo...

Gli appunti del viaggio in Messico sono ancora sul comodino, stropicciati e sbattuti qua e la. Le cartoline comprate e mai scritte ancora sul secondo scaffale. I ricordi dei giorni messicani e newyorkesi ancora vivi ma lontani, come un vivace sogno ad occhi aperti. Novembre, Dicembre, Gennaio: andati. 3 mesi, un soffio, tante le cose imparate, sbagliate, ma sopratutto vissute. Il rapido passaggio in un’Italia all’inizio dell’autunno ma in pieno inverno socio-politico, un’era moribonda di un paese vecchio e stanco. Per fortuna c’e’ ancora il calore di un abbraccio, la voglia di stare insieme e curarsi l’uno dell’altro. Per fortuna c’e’ ancora il sorriso di mia mamma e la risata immutata di mio padre ad illuminare i pochi giorni che ho trascorso in relax in Italia, vicino a Verona, con vecchi amici di famiglia, sempre cari, abbiamo pure vissuto il brivido di un terremoto.
Novembre e’  stato un fulmine, ritorno, visita con formazione dello staff da parte della nostra coordinatrice Marian ed era gia’ Dicembre. Dicembre che e’ stato reso unico da un fantastico weekend a Zanzibar e un viaggio in autobus sul lago Malawi, sponda malawiana e tanzaniana, entrambi affascinanti. Gennaio e’ stato un bel mix di lavoro intenso, accoglienza e condivisione di visitatori come padre Luigi e Valentina ma soprattutto il lungo ed emotivamente carico arrivederci a Daniela e Valentina, che dopo 11 mesi lasciano, (per il momento) la Tanzania e la nostra Bagamoyo.
E io qua, a difendermi dalle zanzare, al buio, la luce e’ saltata, e’ la terza volta oggi, nessuno sa il perche’, pochi se lo chiedono. Come l’ anno scorso, anche per quest’anno, da Febbraio ad Aprile continuera’ a mancare la luce in questo paese che chambia sempre ma non cambia mai.
Non ho scritto nel blog ultimamente, e mi spiace, sono stato intoppato, da cose belle, alcune bellissime, altre meno interessanti e a volte inutili. Inoltre c’e’ questa attivita’, che porto avanti, qualcuno lo chiama lavoro, qualcuno volontariato, altri missione, altri lo considerano un modo per non lavorare veramente. Comunque sia non e’ un’attivita’ da cui si stacca alle 5 del pomeriggio. Ho sempre voluto dedicare il mio tempo ad una attivita’ che contribuisse a migliorare un po' la vita degli altri, degli oppressi, degli emarginati, di quelli che sono relegati sul fondo di molte classifiche modiali ma non lo sanno. Da tempo ho cercato di limitare il piu possibile beni materiali superflui e passatempi inutili o distruttivi, con successo o meno. La maggior parte della mia giornata e’ in relazione di scambio con persone, vicine e lontane, con cui sto provando a costuire qualcosa. Oltre al lavoro provo a coltivare una vita sociale, con tutti i limiti che non analizzero in questo post. Ho scoperto che nonostante uno provi a riempire le sue giornate di affetti, valori positivi e persone che stima, a volte ci si intoppa, un po’ come una cena a buffet fatta fra amici, dove tutto e’ buono ma se uno assaggia tutto ed e’ ingordo di tutto finisce per non apprezzare niente. Ecco come si possono trasformare relazioni  potenzialmente meravigiose, persone preziose, occasioni speciali in eventi stressanti, vissuti con angoscia e troppa razionalita’. Anche l’ ingordigia di dare e ricevere affetti puo essere nociva. Paradossalmente esagerando il proprio lato umano, sociale, socievole ed impegnato si finisce per assomigliare a degli uomini d’affari concentrati sulla superficialita’, la carriera ed il denaro, anche loro sono intoppati, da altre cose, ma pur sempre intoppati. Il risultato e’ per certi versi simile, troppa testa e poco cuore, troppa razionalita’ e calcolo e poche emozioni vere e spontanee. La nostra anima viene soffocata, non riesce a respirare e fiorire, la spontaneita’ si perde perche tutto dev’essere calcolato, tutto deve avere una priorita’ ed ogni problema dev’essere affrontato e risolto. Forse a volte converebbe lasciarsi essere, lasciarsi portare, svuotarsi un po’, alleggerire la propria anima e lasciarla germogliare. Intopparsi di vita assomiglia molto a non avere una vita, ed cosi che, per esmpio, far crescere una relazione, anche con una persona fisicamente vicina, puo diventare difficile, quasi un fardello piuttosto che un piacere.
Svuotarsi aiuta, spero di riuscire a svuotarmi, spero febbraio mi aiutera’, svuotarsi e guardarsi dentro, per capire cosa davvero conta, cosa davvero ci fa vivere meglio e piu in pace con gli altri.
Non so come concludere questo post, e non so neppure se quello che ho scritto abbia molto senso ma credo che iniziare un mese di svuotamento riversando parte dei miei pensieri su una tastiera possa essere di buon auspicio. Gli appunti del Messico sono ancora sul comodino, nel frattempo e’ tornata la luce ma io la spegnero, come dovrei imparare a spegnere il mio cervello di tanto in tanto.

Cambia il nome del blog ma Liniers ci accompagna sempre:
Enriqueta dice: "Nei giorni in cui mi sento un po' avvilita...mi piace fermarmi sotto agli alberi e fingere che mi stiano applaudando"
Fellini (il gatto): "E serve?"