Campo profughi di Pariang- in bianco gli alloggi, a sinistra le scuole per i rifugiati |
Nove di mattina,
assolata, calda, domenica mattina a Pariang, nel nord del Sud Sudan, nuvole
lunghe, alte e sottili, spalmate sul cielo azzurrino, una cupola immensa,
larga e aperta come solo alcuni cieli
d’Africa possono essere. Cammino con Michael, il nostro agronomo, la lunga
strada dritta che attraversa il villaggio, terra marrone, chiamata marram, l’unica che drena un po’ l’acqua
che cade quando la cupola azzurra diventa grigia, cupa e minacciosa, e poi
piange. Cerchiamo un trattore per portare del materiale a Nyeel, a 40
chilometri da qui, e’ l’ unico mezzo che puo’ farcela in questa stagione, ma
trattori non ce ne sono, mi guardo intorno, cerco un posto per comprare una
ricarica telefonica, vedo una ragazza, seduta su uno sgabello basso, frigge
qualcosa, sembrano frittelle, ne compro 3 per un pound, un quarto di euro
praticamente, il locale mi ispira e propongo a Michael di entrare per un the,
abbasso la testa per entrare nella capanna di canne, 4 metri per 5, il sulo
rugoso, irregolare, in terra battuta, calpestata da mille piedi e sporca di
farina e chissa’ cos’altro. Ci sediamo sulla sedia di platica marroncina, mi
guardo attorno e c’e un vecchietto e 4 o 5 ragazze sedute a bere il the, non
parlano, sembrano rilassate e e serene, sicuramente non indaffarate, una
sorseggia the all’ibisco, chiamato karkade’,
ne provo uno anch’io, dolcissimo, mezzo bicchiere di zucchero in un bicchiere di the, arrivano le
frittelle, 4 al prezzo di 3, la ragazza ci aggiunge un cucchiaio di zucchero sul piattino delle frittelle,
dolci, ma nemmeno troppo unte, chiacchero con Michael, mi racconta che la sua
ragazza e’ in Uganda e andra’ a trovarla ad inizio Ottobre, concordiamo le
ferie, anch’io devo andare a trovare la mia, qualche centinaio di chilometri
piu’ a sud e qualche settimana dopo. Michael mi piace, e’ sveglio e lavoratore,
mi trovo bene a lavorare insieme a lui, e’ piu’ maturo della sua eta’, classe
1989.
Una delle strade principali, direzione Yida, verso il confine col Sudan |
Una bimba di
circa 10 anni ci porta il the, poi torna ad accovaccarsi per terra, sta
pestando le spezie che aromatizzeranno il caffe’ che sua mamma sta arrostendo
sul fuoco di carbonella, l’odore pungente del caffe’penetra prepotentemente
nelle narici, punge quasi, svegliando i pigri neuroni della domenica mattina.
La signora del caffe’ veste di viola, un vestito lucido e dale tinte forti, un
viola acceso con ricami neri, il volto altrettanto nero, come il caffe’ che sta
tostando, il sorriso largo e aperto, come i cieli d’Africa, una fascia viola in
testa fatta della stessa stoffa del vestito. Blu, come il telo di plastica che copre
mezza della parete che ho di fronte, marroncino come i pezzi di cartone che
sporgono dal soffitto di canne, giallo come I vestiti di due ragazze che si
alzano e se ne vanno. L’ essenzialita’ del posto e’ rilassante, vera, umana,
calda e accogliente. La capannina del caffe’ e’ in realta’ un
mini-supermercato, all’entrata il cibo, le frittelle, a sinistra il
“negozietto”, una vetrina di 4 ripiani fornita di zucchero (ovviamente),
sigarette keniane, benzina, olio motore, forbici di plastica colorate dalla
Cina, biscotti, ovviamente i Glucose, prodotti a Dubai con ingredienti di
dubbia provenienza ma presenti ovunque in Africa, almeno tanto quanto Pepsi e
Coca-Cola, le imprese avvelenatrici di falde acquifere e diritti umani e
sindacali che arrivano ovunque. Annuso lo zenzero che la bambina sta ora
pestando e ordino un caffe’, sono curioso di assagiarlo, senza zucchero,
specifico questa volta, arriva ed e’ buonissimo, chiedo anche un altro
bicchiere, vuoto, per raffreddarlo, come al solito non riesco a bere le bevande
troppo calde, chissa poi perche’, Michael ride…
Allagamento a Pariang |
Siedo e mi
guardo intorno, fronti rugose, volti giovani segnati dalla fatica, dalla
cattiva e carente alimentazione, e poi chi lo sa, dallo stress generato dalla
lunga lotta per l’indipendenza di questo paese che sta avviandosi a compire i suoi
primi passi ma che ancora fa fatica a reggersi in piedi, sotto il vento di
poteri piu’ forti e piu grandi. Mi sento in pace ed accolto, come in quel
chiosco di Bhopal dove ho mangiato dei gustosissimi falafel nel quartiere
musulmano, come in quel ristorante di strada dove ho mangiato dei saporitissimi
spiedini con padre Natale e Dario, come da babu a mangiare uroyo, kachori e
sorseggiando infuso di zenzero, un respiro
di umanita’ che riempie gli occhi di calore, accoglienza e felicita’. E
ora sono qui, sotto un’acacia a scrivere su carta i miei pensieri sparsi come non
mi succedeva da tempo, ma l’assenza di elettricita’, di benzina per il
generatore e le poche batterie del mio computer mi hanno spinto a riapprezzare
il piacere di disegnare parole blu su sfondo bianco, il negative del cielo
sopra di me, questa immense cupola azzura con disegni bianchi che sono immagini
e parole, che sono passeggere ma sempre presenti, che sono sogni e speranze.
Liniers, con Fellini e Enriqueta:
( Fellini: "Torni perche' ti manco?")