Un post nuovo che nella prima parte riprende un post vecchio...
Sono una bottiglia di plastica, non ricordo bene, ma credo di essere nata
in Kenya, o in Uganda, appena nata, dopo 3 giorni di viaggio mi hanno portato
in un negozio polveroso, ero esposta su uno scaffale in un negozio davanti alla
moschea, il posto si chiama Pariang, dicono che sia da qualche parte in uno
stato nuovo, che si chiama Sud Sudan. Un uomo con la pancia, la giacca e la
cravatta che la gente chiama onorevole
mi ha comprata. Avidamente, mi ha afferrata e ha bevuto quasi la metà
dell’acqua che avevo dentro. Mi teneva stretta, con le sue mani grandi, lunghe
e sudate. Siamo andati in uno spiazzo pieno di tende bianche che chiamano campo rifugiati, e’ sceso dal
fuoristrada bianco, ha dato un ultimo sorso alla poca acqua rimasta, si e’
asciugato con le mani la bocca grande e ha orgogliosamente detto: “Facciamo in fretta che ho fame”. Ha
fatto un giro nel campo rifugiati, una distesa marrone e verde, allagata per le
piogge degli ultimi 2 mesi, un lago di fango, escrementi ed immondizia, con
migliaia di uomini donne e bambini. Dicono che sono stranieri ma e me sembrano
uguali agli altri. Dopo che il signore alto mi ha gettato per terra sono stata
raccolta da una bambina, avrà avuto 4 o 5 anni, piccolina, magra, scalza,fango
fino alle ginocchia e delle meravigliose treccine, corte, chiuse in elastici
gialli, rosa, rossi e azzurri. Quando mi ha visto il suo viso si è aperto in un
grande sorriso bianco e luminoso grindando: ”Crystal!”
felicissima mi ha preso in mano come nessuno aveva mai fatto, con affetto, sorpresa
e devozione. Awadia, credo sia il
nome della bimba, che tutti chiamano per provare a rubarmi dalle sue mani, ma
Awadia non mi ha mollato, mi ha preso, portata ad un pozzo e mi ha riempito
d’acqua, contentissima ha appoggiato le sue labbra sottili e un po’ screpolate,
poi mi ha passata ad una sua amica, che si chiama Rabha, anche lei lunga, magra
e dai vestiti sporchi di terra, consumati e stracciati. Con me in mano mi
sembrano felici, giocano, guardano dentro, mi accarezzano, mi sento amata e
venerata come un oggetto nuovo e speciale, nessuno mi aveva mai fatto sentire
cosi prima, voglio bene a queste bimbe che mi hanno accolto e amato.
Awadia e Rabha sono solo due delle centinaia di migliaia di bambine e
bambini che dal dicembre 2013 hanno abbandonato, forzatamente e con il cuore
carico di paura, le loro case. Il Sud Sudan, il più giovane Stato al mondo,
nato nel luglio 2011 scindendosi dal Sudan con un referendum organizzato 6 anni
dopo gli accordi di pace del 2005. Una pace fragile quella fra Sudan e Sud
Sudan, in continuo bilico, tanto che nel 2012 le tensioni hanno portato alla
chiusura del confine e all’interruzione del flusso del petrolio che dal Sud
Sudan viene trasportato sulle coste del mar Rosso passando attraverso il Sudan.
Un rapporto travagliato quello fra Khartoum e Juba ma non quanto le relazioni
interne al neo-Stato, dove l’avidità economica e l’ambizione politica hanno
portato riaperto vecchie ferite fra gruppi etnici, in particolare fra la tribu
Dinka e la tribu Nuer. Il dissenso fra i due maggiori leader politici: il
presidente Salva Kiir (dinka, tuttora incarica) e l’ex vicepresidente Rieck
Machar (nuer, esautorato a luglio 2013) ha fatto ripiombare il paese nella
guerra civile. Questi due “elefanti” hanno sfruttato differenze etniche per mobilitare
giovani a combattere e spinto il paese verso uccisioni a sfondo etnico, mentre
12 milioni di “fili d’erba” sud sudanesi ne stanno pagando le conseguenze e
continuerrano a pagarle per molti anni.
Dopo mesi di tensione politica in continuo aumento, il 15 Dicembre 2013 un’
incomprensione fra il Presidente Kiir e i soldti della guardia presidenziale ha
fatto scoppiare il conflitto. Juba, la capitale del Sud Sudan, è piombata nel
caos e migliaia di persone sono state uccise a sangue freddo per la sola
appartenenza etnica.
Negli ultimi 10 mesi, un milione e 400 mila sud sudanesi sono fuggiti dalle
loro abitazione per scappare dalla guerra e dalla violenza per cercare un
rifugio, dove la loro vita non fosse in pericolo. Altri 463,000 sud sudanesi sono
rifugiati all’ estero, nei paesi confinanti: Etiopia, Kenya, Uganda e
addirittura Sudan. Negli ultimi 3 anni gli effetti combinati dei conflitti
tuttora in corso in Sudan (nelle regioni del Sud Kordofan e del Nilo Blu) e in
Sud Sudan (Stati di Unity, Nilo Superiore e Jonglei) hanno causato due flussi
di disperati: 220,000 rifugiati Sudanesi sono ora in Sud Sudan, mentre 100,000
Sud Sudanesi si trovano in Sudan.
Fra sfollati interni e rifugiati, quasi 1 milione e 900 mila persone, un
sud sudanese su 6, non vive più dove viveva un anno fa, tutti hanno perso molti
famigliari ma anche tutto ciò che possedevano: casa, campi, attrezzi agricoli,
mucche, capre…come se tutti gli abitanti della Regione Calabria si fossero
spostati in pochi mesi. In questo momento, oltre 100,000 persone vivono ancora
all’interno delle basi militari delle Nazioni Unite. Queste cittadelle
fortificate che ospitano i caschi blu dell’ ONU, vista la crudeltà del
conflitto, per la prima volta nella loro storia hanno dato ospitalità a civili,
evitando così un tremendo massacro a base etnica. Il rimanente milione e 300
mila sfollati interni vivono in campi allestiti dalle agenzie umanitarie in
varie parti del paese, ma concentrate soprattutto nei tre stati petroliferi:Unity,
Nilo Superiore e Jonglei.
In 10 mesidi conflitto i profughi sono aumentati a vista d’occhio, così
come le epidemie di colera, malaria, infezioni polmonari e intestinale legate
alle precarie condizioni di vita, spesso nel fango e in ripari di fortuna
costruiti con qualche palo di bamboo e nylon distribuiti dalle organizzazioni
non governative. Il problema dell’alimentazione, già povera,in un paese che
ancora prima del conflitto doveva importare grandi quantità di cibo è ora
davvero allarmante. Oltre 3 milioni di sud sudanesi hanno sfiorato la carestia
nel 2014, ora il raccolto del sorgo, principale cereale del paese ha portato un
leggero sollievo per le tante famiglie che sopravvivono con uno, massimo 2
pasti al giorno, ma le scorte finiranno presto e per febbraio-marzo 2015 già si
prevede un nuovo rischio di carestia per quasi 4 milioni di sud sudanesi che
non hanno potuto coltivare e non hanno accesso a rifornimenti di beni di prima
necessità.
La stagione delle pioggie sta per finire, le strade si seccherranno presto,
permettendo ai camion di viveri di muoversi ma permettendo anche agli eserciti
contrapposti spostamenti più rapidi. Nei prossimi mesi si teme una riaccensione
delle ostilità e un inasprimento dei combattimenti, vistoche le estenuanti e
sterili trattative di pace in corso ad Addis Abeba non hanno portato quasi
nessun frutto se non una fragile tregua fra gli eserciti.
Con questa situazione non resta che sperare che i due elefanti trovino un
accordo (o si tolgano di mezzo) e che si avi un vero processo di pace, per
ricucire le ferite e iniziare da capola costrizione di una nazione dove tutte
le etnie, lingue, religioni e idee politiche convivano in maniera pacifica. Se
non smetterà la pioggia di pallottole, non rimane che continuare ad assistere e
stare al fianco dei milioni di “fili d’erba” sud sudanesi che stanno soffrendo,
in attesa del sole, che prima o poi, arriverà, “in shaa allah! “ (se Dio vuole).
Liniers, che sottolinea come a volte sia meglio rischiare:
"Una pioggia di emozioni cade sulla citta'" "I piu'avventurosi non aprono l'ombrello" |
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