L’ombra del falco si muove leggera strisciando sulla sabbia, fine e
marrone, bimbi nudi in braccio a bimbi dai vestiti stracciati, rotti in più
punti e sporchi. Vestiti un tempo belli, su bambini europei puliti, pasciuti e
coccolati ora qui, a Nyeel, brutti e invecchiati, la gonna da ballerina bianca
è diventata color terra, terra marrone e secca. Il contrasto con il viso
gioioso ed il sorriso aperto dei bambini è netto. “What is my name?” dice la voce squillante di una bambina dai
capelli intrecciati con elastici colorati apposta per il Natale. In realtà
intende chiedermi come mi chiamo io, ma non importa, l’importante è capirsi. Le
rispondo: “Stefano, and you?”, lei non
mi risponde e se ne va timida. Immergersi a Nyeel fra pance rotonde, gonfie, nasi
mocciosi, bocche sporche, piedi scalzi e sentirsi chiamare kawaja (uomo bianco) mi da gioia e mi fa sentire sereno, sicuro e
protetto dalla presenza di centinaia di bambini grandi, piccoli e piccolissimi tutti
interessati morbosamente alle bottiglie di plastica vuote, chiamate kristal. Rari i giochi, un bastone senza
corteccia, il coperchio di una lattina che conteneva l’olio delle razioni di
cibo, un chiodo dimenticato da carpentieri sbadati ed ecco un’automobile;
qualche hoola-hop nuovo ricevuto per Natale, una corda attaccata ad un bastone
da far vibrare nell’aria ed ecco un passatempo musicale, la fantasia di sicuro
non manca.
Il vento soffia sopra il Sud Sudan marrone, in questo periodo il Sud Sudan,
o almeno questa sterminata pianura di nera terra del Nilo ricoperta di erba
secca, diventa marrone. E’ marrone l’acqua degli hafir (serbatoi scavati nella terra per accumulare l’acqua) dalle
ultime piogge ormai sono passati quasi due mesi, l’erba è di un marroncino
chiaro, quasi giallo, ma senza vita. E’ il tramonto di un giorno qualsiasi e le
mucche tornano dal pascolo, sono marroni anche loro, provo a contarle,
impossibile, in lento movimento disordinato, si fermano a bere ad un hafir, muggiscono, il sole, arancione e stanco
di tanto brillare va a riposarsi, e la brezza serale, rinfrescante dopo un
giorno secco e torrido, entra nei capelli portando con se anche la polvere,
marrone anche lei. E’ marrone il sorgo maturo, le canne, alte anche 2-3 metri,
cariche di palline marroni, è tempo di raccolto, un raccolto marrone. Sono
marroni le case della gente, di fango I muri e di paglia il tetto, Jackline sta
lisciando il fango nuovo che ha appena spalmato per coprire le vecchie crepe
sul muro esterno di casa. Jackline, sudata e circondata di bambini, ci invita ad
entrare: “Pranzate?”, sostiene Kuol che ha fame ed è ora di pranzare, oggi si
mangia akob, fatto di farina di sorgo
fatto di sfere marroni delle dimensioni delle palline del polistirolo e acidule
foglie di acacia, verdi, fresche, il tutto arricchito e insaporito da una sorta
di burro, amaro e saporito, quasi formaggio liquido. Il primo cucchiaio mi
intimorisce un po’, ma il sapore non è male, certo, non è un sapore della nostra
cucina ma si lascia mangiare. Jackline e sua sorella prendono 2 cucchiai giusto
per farci compagnia ma lasciano il cibo quasi tutto per noi, un piatto solo, 4
cucchiai, si mangia insieme ma, in quanto ospiti dobbiamo rendere onore
all’invito e finire tutto. Intorno, muri marroni, ben levigati e senza
finestre, gli occhi abituatisi all’oscurità si incrociano con quelli di bambini
giocherelloni e spensierati che ci guardano fra il curioso e il divertito. Il
figlio più piccolo di Jackeline, pochi mesi, gattona impacciato sul pavimento
di terra battuta e sabbia, le mani grattano sul pavimento ruvido, il sedere
nudo ricoperto di polvere marrone e la piccola canottiera, più marrone che bianca,che
doveva essere il suo colore originale. Mani piene di sabbia impastata con la
saliva da mettere in bocca ed un braccialetto di stoffa nera allacciato al
polso per proteggere il bimbo dalle malattie.
La mamma di Jackline entra nel tukul (abitazione tipica Sudanese) è
tornata dai campi, salute con salam
alekum, sopra il letto una croce di legno, pitturata di rosso ad un
estremo, fatta con due bastoni, credo serva per pregare, questo accostamento mi
fa provare una sensazione strana perchè mi accorgo di aver sempre associato
questo saluto in arabo a persone musulmane. La mamma di Jackline si siede e
mangia, dietro di lei il muro con verniciato di fresco il numero “2013” e dalle
due parti “Buon Anno”, a sinistra in inglese, a destra in arabo, sintesi di un
Sud Sudan ancora sospeso fra le sue due lingue coloniali. Jackline è cresciuta
a Khartoum, scappata dalla guerra che divampava in tutto il Sud, è tornata solo
nel 2006 dopo gli accordi di pace. Sostiene Kuol che si nota dal suo
comportamento e dai suoi atteggiamenti che è cresciuta al Nord, sostiene Kuol
che chi è cresciuto a Khartoum è più pigro e indolente di chi è cresciuto al
Sud o come rifugiato in Uganda o Kenya, come lui. Sara’…annuisco e chiedo il
perche’, farfuglia qualcosa che non capisco mentre usciamo da casa di Jackline,
lei mangiera’ akob anche stasera, a
meno che non prepari la kisra, una
specie di enorme piadina fatta con la farina di sorgo e da accompagnare alle
lenticchie. Questi sono i due piatti base della cucina dinka, niente scelta per
Jackline e i suoi figli. Sostiene Kuol che, chi è cresciuto a Khartoum ha
abitudini diverse da chi è rimasto sul posto. Sostiene Kuol, balbettando, che nella
tribù dinka, la moglie, quando è incinta del primo figlio, va a partorire a
casa della sua famiglia originaria e ci rimane anche per un anno o due, cosi la
mamma le può insegnare come prendersi cura del neonato, come lavarlo, vestirlo,
allattarlo e svezzarlo. Nel frattempo si vede solo raramente col marito, il
quale comunque, nel frattempo, se ha abbastanza mucche, può anche sposare una seconda,
terza o quarta moglie. Penso che questa forma di trasmissione della conoscenza
da madre ha figlia sia originale ma sensata. Sostiene Kuol che cammino troppo
piano, camminiamo sotto il sole cocente da stamattina e a me piace anche
guardarmi in giro.
Nel frattempo una signora, alta, magra, in un lungo vestito,
sporco e stracciato, marrone, ci insegue, borbottando in lingua dinka, è “la
matta del villaggio” e porta con se sua figlia di circa 4 anni. Provo dolore
nel pensare a come viva quella bimba, lei, silenziosa e serena al fianco di sua
mamma mi guarda con aria felice. Sostiene Kuol, che vendendo alcol fatto in casa
a Khartoum la signora oltre a venderlo, lo assaggiava pure, probabilmente per
non sentire i morsi della fame e della disperazione in cui viveva, questo ha le
sue conseguenze. Camminiamo insieme, si alza il vento da nord, polvere marrone
e sottile fra i capelli, mi passo la mano sulla fronte sudata, mi guardo la
mano, è marrone anche quella.
Felice Anno Nuovo, con Liniers:
Egberto Luis, il signore piu impaziente del mondo...
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