Il mare è silenzioso e luccicante, il ritmo, lento e placido delle onde segue
il ritmo del respiro, la brezza marina, la sabbia sotto i piedi, una distesa di
sabbia bianchissima, la baia di Bagamoyo, a sinistra l’oceano, increspato e
luccicante, a destra colline verdi, palme lunghissime, esili, con il loro verde
fuoco d’artificio accarezzato dal vento. Piedi nell’acqua, tiepida in questa
domenica mattina, ciabatte in mano, saliamo in barca, si ondeggia, il motore si
accende e lentamente la barca dirige la prua verso la barriera coralline, siamo
con Christian, francese che parla un inglese stentato e farraginoso ma dall’animo
gentile, sorridente e molto dolce. Le prime spiegazioni sull’uso dell’attrezzatura
per le immersione, alcuni esercizi su come respirare sott’acqua con boccaglio
bombole e maschera. Siamo un po’imbranati inizialmente ma poi respirare sott’acqua,
recuperare il tubo dell’ossigeno e svolgere le prime operazioni sott’acqua
diventa pian piano più naturale. Christian è il nostro istruttore di sub, poco
oltre la quarantina, ex dirigente di una compagnia di trasporti, appassionato
di subacquea, ha mollato lavoro, figli e famiglia in Francia 2 mesi fa per
venire in riva all’Oceano Indiano ad insegnare sub, sta seguendo la sua passione
e al momento sembra molto felice nonostante le barriere linguistiche e la
lontananza della famiglia. Dopo I primi esercizi risaliamo a bordo della barca,
dove Muhamad e Omari, il capitano e il suo aiutante, ci attendono
sonnecchiando. Insieme a loro mangiamo un panino, una banana e beviamo un po’ d’acqua,
sullo sfondo una splendid isoletta di sabbia bianca emerge nel bel mezzo dell’acqua
azzurra e limpida. Scendiamo di nuovo in acqua, questa volta in esplorazione,
pochi metri sotto il pelo dell’acqua ci si apre un mondo nuovo davanti: I fondali
rivestiti di coralli Verdi, gialli, rossi blu, spessi oppure estesi e
cespugliosi come alberi sottomarini, le lunghe e affusolate stele marine, pesci ovunque
gialli, blu, arancioni, bianchi, il pesce leone con decine di buffe pinne
colorate, i ricci di mare, neri ed immobile…laggiù da solo, nel silenzio del
mare penso che tutto ciò è in pericolo.
Pochi chilometri più a Sud, c’è il villaggio di Mbegani, un tranquillo
villaggio di pescatori a 15 chilometri da Bagamoyo, ex-capitale dell’Africa
Orientale coloniale tedesca, cittadina sulla costa del’Oceano Indiana caduta in
disgrazia proprio per lo spostamento dei flussi commerciali a Dar es Salaam a
causa della scarsa profondità della baia di Bagamoyo che non permette il
traffici di navi pesanti. Ora con un mix di tecnologia moderna ed investimenti infrastutturali
private e pubblici il governo tanzaniano sta cercando di creare un nuovo porto
per favorire il commercio in Tanzania ma anche fra Tanzania e stati confinanti
come Rwanda, Uganda, Burundi, Congo orientale, Malawi e Zambia i quali non
hanno accesso diretto al mare.
La mappa dell'area di sviluppo nella baia Mbegani, Bagamoyo |
Il porto è solo una tessera di un puzzle di sviluppo infrastrutturale ed
economico, chiamato Special Economic Zone
(SEZ – Zona Economica Speciale) ed Export Processing Zone ( Zona processazione esportazioni).
Il progetto è gestito dalla apposite autorità: Export Processing Zone Authority
e comprende una prima fase che prevede la realizzazione di un mega parco industriale
(investimento necessario circa 92 milioni di euro per le infrastutture). Il
parco industriale è già in via di realizzazione e si chiama Kamal Industrial Estate, una ditta multinazionale, a capitaleindiano e tanzaniano, la prima a gestione interamente privatizzata senza
controllo del governo, una zona franca di 297 acri, quasi 150 campi da calcio,
3 volte l’estensione di Città del Vaticano. Una Zone Economica Speciale è una
zona dove imprese posso produrre a regime fiscale agevolato (o addirittura esentasse)
e a burocrazia semplificata per accorciare tempi di start-up e facilitare
gestione amministrativa. Ben 227 nuclei famigliari, 1300 persone sono stati affetti
dall’esproprio della terra e sono stati compensati, con una media di 1.321 euro
a famiglia per la perdita dei terreni, case, eventuali attività economiche e
spostarsi in un’altra zona.
La fase due invece è più complessa e prevede:
- Un porto: 7,6 milioni dalla Cina per la costruzione di uno dei più grandi porti in Africa entro il 2017. Solo una piccolo percentuale dell’investimento necessario a portare avanti la realizzazione di questo immenso ed ambizioso processo di sviluppo. Il porto progettato avrà 2 moli per l’attracco delle navi per un totale di circa 3-400 metri di ormeggio disponibili, profondità di circa 13-4 metri, capace di muovere 20 milioni di container all’anno.
- Una zona processazione per l’import-export, investimento necessario 70 milioni di euro.
- Una zona di commercio franca, ovvero esentasse investimento necessario 54 milioni di euro.
- 2 villaggi turistici, investimento richiesto circa 54 milioni di euro, che includono hotel, appartamenti residenziali e un campo da golf ma anche un ospedale e scuole.
- Un parco scientifico e tecnologico, investimento necessario 39 milioni di euro. Una specie di cittadella per ospitare sedi di società del settore servizi-tecnologia collegate ad università di Dar es Salaam e università turche.
- Un centro affari e uffici per le compagnie operanti nella zona, investimento necessario: 54 milioni di euro
- Un aeroporto
Altri 2.000 acri sono stati già espropriati con compensazione approvata a
gennaio 2013 con tanto di pubblicazione della lista dei 593 nuclei famigliari
(circa 3.500 persone), per un totale di 560.000 euro, una media di soli 944
euro a testa.
La tipica famiglia tanzaniana che beneficierà del nuovo campo da golf nelle vicinanze di Bagamoyo |
A fine marzo, il governo cinese ha
visitato Bagamoyo e promesso 7,5
milioni di dollari ma questi sono sono solo una parte dell’investimento necessario,
il resto verrà da investitori privati. Il porto sarà sviluppato da ditte cinesi
con un contratto chiamato BOT (Build
Operate and Transfer, Costruire, Operare e Trasferire) che è un esempio di
partnership privato-pubblico fortemente promossa da Banca mondiale e Agenzie
delle Nazioni Unite come modello di finanziamento per opera pubbliche. In poche
parole una privatizzazione a termine che permette alla ditta privata, in questo
caso cinese, quindi fortemente controllata dal governo cinese, di progettare, costruire, gestire a
soprattutto di sfruttare gli introiti derivanti dal porto fino a quando
l’investimento effettuato dale ditte cinesi non sarà completamente ripagato.
Questo tipo di contratto conferisce grande autonomia alla ditta private
nella gestione del traffico portuale. Critici come Mr. Eke Mwaipopo e Mr.John
Lubuva (consulenti privati in materia di sviluppo economico e pianificazione
urbana nonchè funzionari governativi per oltre 30 anni) sostengono che questo
potrebbe permettere a ditte poco etiche di commerciare illegalmente risorse
naturali tanzaniane come legno, gas, uranio, tanzanite e altri minerali
estratti dal suolo tanzaniano come già successo in passato durante la
costruzione della TAZARA, la famosa ferrovia che collega il porto tanzaniano di
Dar es Salaam con gli immensi giacimenti di rame dello Zambia. Secondo
mr.Mwaipopo e Mr.Lubuva affidare la gestione di infrastrutture chiave come i
porti a compagnie private è una pratica rischiosa che espone la Tanzania al
rischio di saccheggio delle proprie risorse minerali e naturali. Inoltre, il
gigante cinese potrebbe utilizzare il porto di Bagamoyo anche come punto
d’appoggio logistico (rifornimenti e periodi di riposo) per le navi militari
cinesi di stanza nell’Oceano Indiano, come sta già facendo nel porto pachistano
di Gwadar. Il porto potrebbe anche essere usato come punto d’entrata facilitata
per le merci cinesi e componenti per progetti cinesi nella regione
approfittando del minore livello di controlli sul porto di Bagamoyo rispetto ad
altri porti controllati dal governo tanzaniano.
La spiaggia di Bagamoyo |
Forti preoccupazioni ambientali sono state espresse da Mr.Daffa
Direttore del Tanzania Coastal Management Partnership (Programma Gestione
Costiera Tanzania, una organizzazione parastatale dedicata alla conservazione
dell’ambiente costiero e marino tanzaniano) secondo il quale il porto è stato
progettato in una zona definite ecologicamente sensibile. La zona in questione
è una bassa laguna che ospita coralli, delfini, tartarughe, crostacei e pesci
tropicali già fortemente minacciati dall’intenso sfruttamento ittico e
turistico di quel tratto di Oceano Indiano. L’equilibrio della baia di Mbegani
dove dovrebbe sorgere il porto è tanto delicata che TCMP in collaborazione con
I gruppi di pescatori e le autorità locali ha creato 4 no take zones, ovvero dei piccolo “santuari” dove la variegata
fauna marina può andare a riprodursi al riparo da pescatori e turisti. Inoltre,
costruire un porto di simili dimensioni implicherebbe scavare dei canali nel
fondale sabbioso per permettere alle navi di grandi di attraccare, avviare
simili lavori solleverebbe enormi quantità di limo dal fondo marino che
causerebbe il soffocamento dei coralli, un fenomeno conosciuto come silting una delle maggiori cause di
distruzione della barriera corallina, assieme alla pesca con esplosivo, a
strascico e inquinamento delle acque.La soluzione proposta da TCMP è
l’ampliamento del porto di Dar es Salaam e Tanga, già sviluppati e situati in
zone di costa meno delicate e meno ricche dal punto di vista faunistico.
Emergo dall’immersione,
mi asciugo e mentre torniamo verso riva, un branco di delfini circonda la
nostra barca ed inizia a nuotare al nostro fianco, le loro pinne grige tagliano
il pelo dell’acqua, poi si immergono e scompaiono, animali meravigliosi ed intelligenti
che si meritano tutta la stima ed il rispetto che leggo negli occhi di Muhamad
e Omari mentre ci raccontano come i delfini sino capaci di portare in salvo i pescatori
che affogano al largo, leggenda di mare o verità, non lo so, ma amo questi
animali e questo ambiente meraviglioso. Questi mondi, sia quello sommerso che
quello di superficie,sono in equilibrio delicato e precario che, nonostante la
pressione di una popolazione crescente, ancora supportano specie rare e un
ambiente incontaminato. Fa male pensare che tutto questo fra qualche anno
potrebbe scomparire per inseguire un modello di sviluppo amico dei ricchi e dei
potenti ma nemico dell’uomo, della natura e dell’ambiente. Mondi in equilibrio,
ma sospesi.
E ora Enriqueta, Fellini e la Natura:
Quando scriverò la mia autobiografia, questa sarà una bella pagina |
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